Friday, January 19, 2007

Life’s a voyage that’s homeward bound

Un viaggio che parte da lontano e ci fa tornare a casa, che sembra all’insegna della ricerca formale e chiude con il ritratto, che gioca con i riferimenti e le evocazioni figurative per poi smascherarle con ironia, che vuole nascondere con annoiato distacco la partecipata curiosità per le cose. Un itinerario in cui l’architettura è sempre allo stesso tempo meta e fondale, oggetto e luogo a cui altre presenze danno significato. In questa flânerie intorno al mondo, che è anche un vagabondare letterario, musicale ed iconico, il nostro progettista di immagini ci fa sorridere della nostra capacità di emozionarci ancora, di saperci stupire, magari con un po’ di malinconia. Siamo a Rio. L’obiettivo inquadra El Pedregulho. Il reticolo dei mattoni definisce una texture con i suoi ritmi musicali, ma manifesta anche la natura della materia: gabbia, diaframma tra lo spettatore e piccoli gesti quotidiani. Londra, Laban Centre: sprofondiamo in uno spazio duplicato, un abisso da cui la piccola figura sullo sfondo sembra riuscire a emergere. Saint Ours Les Roches, Vulcania: l’architettura di Hollein ci avvolge come una forma plastica, ruota intorno a noi, con effetto di vertigine. Berlino, Holocaust Mahnmal: l’obiettivo enfatizza la smaccata sensualità di una rosa, che si staglia sullo sfondo grigio, ritmato dalla scansione dei parallelepipedi - amore/morte. Vienna, American Bar: sagome scure ritagliano le preziose superfici della griglia loosiana. Habana, Bar Monserrate: memorie hemingwayane si sfumano nella realtà attuale. E’il momento del ritorno. Ora lo spazio architettonico è solo evocato. L’incontro modenese con il grande maestro sposta ancora una volta il nostro punto di vista: Peter Eisenman in bretelle, visto di spalle, ironicamente allontana ogni possibile mito, ma allo stesso tempo si pone come melanconico dubbio, confessione di una impotenza. Il territorio si restringe sempre più; la macchina inquadra volti consueti, vicinissimi. Basta saper cogliere un istante e tre profili si stagliano come in un’icona preraffaellita, con un effetto di eco. Eppure c’è in questo gioco estetico, in questa sfida spesso autoironica a strappare immagini dense di possibili rimandi simbolici e storici, un’attenzione, una curiosità per le persone, che difficilmente può sfuggire. E non è certo un caso che il genere del ritratto stia diventando la nuova grande passione, il progetto futuro di un architetto che sembra voler trasformare il viaggio in metafora esistenziale.










































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